lunedì 25 ottobre 2010

Silvio NON è il peggiore!!!


Il giorno 21 settembre 2010 il Deputato Antonio Borghesi dell'Italia dei Valori ha proposto l'abolizione del vitalizio che spetta ai parlamentari dopo solo 5 anni di legislatura in quanto affermava cha tale trattamento risultava iniquo rispetto a quello previsto dai lavoratori che devono versare 40 anni di contributi per avere diritto ad una pensione. Indovinate un po' come è andata a finire ! :
Presenti 525
Votanti 520
Astenuti 5
Maggioranza 261
Hanno votato sì 22
Hanno votato no 498.
 
  Ecco un estratto del discorso presentato alla Camera :
Penso che nessun cittadino e nessun lavoratore al di fuori di qui possa accettare l’idea che gli si chieda, per poter percepire un vitalizio o una pensione, di versare contributi per quarant’anni, quando qui dentro sono sufficienti cinque anni per percepire un vitalizio.  È una distanza tra il Paese reale e questa istituzione che deve essere ridotta ed evitata. Non sarà mai accettabile per nessuno che vi siano persone che hanno fatto il parlamentare per un giorno - ce ne sono tre - e  percepiscono più di 3.000 euro al mese di vitalizio . Non si potrà mai accettare che ci siano altre persone rimaste qui per sessantotto giorni, dimessisi per incompatibilità, che percepiscono un assegno vitalizio di più di 3.000 euro al mese . C’è la vedova di un parlamentare che non ha mai messo piede materialmente in Parlamento, eppure percepisce un assegno di reversibilità.
Credo che questo sia un tema al quale bisogna porre rimedio e la nostra proposta, che stava in quel progetto di legge e che sta in questo ordine del giorno, è che si provveda alla soppressione degli assegni vitalizi, sia per i deputati in carica che per quelli cessati, chiedendo invece di versare i contributi che a noi sono stati trattenuti all’ente di previdenza , se il deputato svolgeva precedentemente un lavoro, oppure al fondo che l’INPS ha creato con gestione a tassazione separata.
Ciò permetterebbe ad ognuno di cumulare quei versamenti con gli altri nell’arco della sua vita e, secondo i criteri normali di ogni cittadino e di ogni lavoratore, percepirebbe poi una pensione conseguente ai versamenti realizzati.

Proprio la Corte costituzionale, con la sentenza richiamata dai colleghi questori, ha permesso invece di dire che non si tratta di una pensione, che non esistono dunque diritti quesiti e che, con una semplice delibera dell’Ufficio di Presidenza, si potrebbe procedere nel senso da noi prospettato, che consentirebbe di fare risparmiare al bilancio della Camera e anche a tutti i cittadini e ai contribuenti italiani circa 150 milioni di euro l’anno. 

Per maggiori informazioni ecco il link al sito di Borghesi con il discorso:
  http://www.antonioborghesi.it/index.php?option=com_content&task=view&id=314&Itemid=35 

mercoledì 13 ottobre 2010

martedì 12 ottobre 2010

domenica 10 ottobre 2010

Mission Impossible? No grazie

Archeologia e ricerca alla portata di tutti, per soddisfare curiosità e misteri destinati altrimenti a rimanere tali:
https://sites.google.com/site/geoforconsulting/

sabato 9 ottobre 2010

Altre riflessioni

Il volto di Concetta, lo sguardo pietrificato e sconvolto, davanti alle telecamere. E a noi. Il volto di Concetta: la bocca semiaperta, l’espressione attonita, la sofferenza che non si metabolizza. È successo mercoledì notte e dall’altra parte dello schermo c’eravamo noi, un frammento di Italia: un po’ solidale un po’ guardona. Di nuovo, per la seconda volta nella nostra storia -dopo la notte di Vermicino- una morte in diretta. Di nuovo una maratona di “teledolore” che ci frigge nella carne, una madre che apprende la morte della figlia e la colpevolezza del cognato in pochi minuti, esponendo il suo sconcerto, costretta a mostrarsi indifesa al mondo. Quanti segni da decifrare in quella inquadratura. Concetta nel tinello della casa di sua sorella, apprende in quel momento dalla tv, che è anche la casa dell’assassino di sua figlia. Siede al fianco di sua nipote. Che però, apprende in quel momento dalla tv, è anche la figlia omertosa che forse proteggeva il padre. E che forse lo subiva: nipote complice e vittima. Scopre tutto questo e noi lo scopriamo con lei, in un gioco perverso: lo spettacolo sono le notizie, ma anche il modo in cui rimbalzano sul suo viso: se piange, se tace, se si dispera, se capisce o soccombe. In mezzo il grande circo di una provincia contadina: la difficoltà di difendersi di una famiglia semplice, che dopo aver guardato per anni la TV, ci si ritrova dentro, masticata e digerita.In mezzo -come lampi di una telenovela tragica- ingenuità e violenza: un avvocato che non riesce a proteggerti, i filmini matrimoniali dello zio-cognato-assassino, le interviste bugiarde in cui piangeva come un vitello, lanciando appelli lacrimevoli e depistanti: “Torna Sarah!!” E le domande della Sciarelli alla figlia: “Quelli erano i giorni felici, vero?” La cosa più pericolosa, mentre un intero paese deve ancora metabolizzare il trauma di questa angoscia spettacolarizzata è la violenza della TV del dolore, così calda protettiva e rassicurante mentre la ingerisci, così dolorosa quando spegni. La cosa più facile e sbagliata, invece, è cercare un capro espiatorio per autoassolversi. Oppure dare la caccia a “un mostro”, liberarsi del dolore tramutandolo in rabbia, magari invocando corda e sapone, un linciaggio che lavi con il sangue le macchie oscure. Nessuno di noi, soprattutto i giornalisti TV -io che scrivo- sa cosa significhi trovarsi a bordo di un treno in corsa mentre cadono le bombe. È difficile capire se Federica Sciarelli, la conduttrice di Chi l’ha visto?, che spesso è riuscita a muoversi con passo lieve in mezzo alle peggiori sciagure, sia consapevole sino in fondo del paradosso che il suo programma ha prodotto. La diretta era padrona di tutto: dei carnefici e delle vittime. Riceveva le notizie delle indagini in modo quasi reale, ma allo stesso tempo aveva “in ostaggio” le vittime. Lo faceva oggettivamente, perché “il telefonino non prende”, e allora nemmeno i Carabinieri riescono a parlare con Concetta: solo la TV può decidere se liberarla o meno. Allo stesso modo è difficile capire se la Sciarelli sia pienamente consapevole che chiedere a una madre se “vuole interrompere la trasmissione?” non ha senso. Quando le forze dell’ordine vanno a spiegare a qualcuno che suo figlio è morto -se fanno bene il loro lavoro- portano uno psicologo, danno assistenza, non fanno domande. Il volto di Concetta, quel maledetto telefonino senza campo, le sue parole spezzate: “Stanno trovando un cadavere… È assurdo…”. È vero che la conduttrice le dava la possibilità di tirarsi fuori. Ma è altrettanto vero che per 2 ore e 42 minuti lei era dentro, la più indifesa di tutti noi: un tempo interminabile, in cui le notizie sono deflagrate in studio fra smentite e conferme, come bombe a frammentazione: “Qui c’è il Quotidiano di Puglia che dice…”. “Qui l’Agi conferma”. Anche la Sciarelli entrava in quel tinello come una bomba: “C’è Sabrina? Vuole parlare?” La tv possedeva tutti i testimoni e tutti i personaggi del dramma, li “deteneva” (nel senso letterale) e anche quando loro si ritraevano dal suo sguardo ustorio, ci spiegava cosa accadeva, come in un reality: “Sabrina sta telefonando”, spiegava l’inviata. Ed era sempre lei a offrire un bicchier d’acqua a Concetta, non i padroni di casa. Dentro questa storia ci sono stereotipi antichi e piccoli misteri. C’è la differenza di classe, tra chi si può difendere dalla TV e chi non può. C’è il potere di controllo, che non si attenua concedendo la possibilità di uscita volontaria, ma che semmai si esalta nella forza suggestiva che ti spinge a dire no. Il vero mistero è proprio quel tinello. Perché la Sciarelli fa il programma a casa dello zio? “Perché lui era diventato -spiega- il cuore della storia”. Ma Michele era già sotto interrogatorio da ore. E la TV aspettava il suo ritorno, interrogando la sua famiglia e portandogli a casa la sua vittima. Però c’era una cosa che forse si doveva fare prima. Quando la Sciarelli ha saputo la verità su Sarah, non doveva, come ci ha raccontato , “provare a prolungare la trasmissione nella speranza che arrivasse una smentita”. Doveva chiudere il collegamento, liberarla, liberarci. Avere la forza di toglierci il nostro macabro spettacolo. Per il bene di Concetta. E anche per quello di noi, i guardoni di casa.
Luca Telese

Un po' di riflessioni

Siamo tutti vittime della stessa macchina. La macchina del dolore, che si nutre di casi umani e in cambio macina numeri dell’Auditel, quelli che fanno la gioia e il fatturato dei pubblicitari. Loro, i burattinai. Gli altri -giornalisti, pubblico, ospiti- i burattini. Colpevoli, naturalmente, ma solo di non avere la forza di strappare il filo. Federica Sciarelli è una giornalista in gamba e una persona perbene, ma forse ha mancato di freddezza. Avuto sentore della notiziaccia, avrebbe dovuto mandare la pubblicità e soltanto dopo, lontano dalle luci della diretta, rivolgersi alla madre in pena, invitandola ad allontanarsi dal video e a chiamare i carabinieri. Una questione di rispetto, ma in questa società di ego arroventati chi ha ancora la forza e la voglia di mettersi nei panni del prossimo, guardando le situazioni dal suo punto di vista?
Noi giornalisti siamo colpevoli di abitare il mondo senza provare a cambiarlo ed è una colpa grave, lo riconosco.
La consapevolezza del potere dei media accresce le nostre responsabilità, ma non può annullare completamente quelle degli altri. Mi riferisco anzitutto agli ospiti dei programmi. Il presenzialismo televisivo della mamma di Sarah ha l’attenuante della buona fede. Ma fino a qualche anno fa i parenti delle persone scomparse andavano in tv per il tempo minimo necessario a leggere un comunicato o pronunciare un appello. Poi si ritiravano nel loro sgomento. Adesso non trovano di meglio che bivaccare per giorni e giorni in tv: non davanti al video ma dentro. Spalancando alla prima telecamera di passaggio la stanza della figlia scomparsa e accettando di partecipare a una trasmissione come «Chi l’ha visto?» dalla casa del cognato, sul quale in quel momento già gravavano forti sospetti.

Non accuso la signora, è cresciuta con questa tv che sembra onnipotente, nel vuoto che c’è. Una tv che è vita meglio della vita e in cui il Gabibbo ha preso il posto del poliziotto, «Forum» del pretore e «Chi l’ha visto?» del detective Marlowe. Mi limito a riconoscere in quelle come lei la vera carne da macello televisivo. Carne che si immola volontariamente, nella convinzione che oggi la televisione possa darti tutto, persino tua figlia. Giornalisti emotivi, tronisti del dolore. Il ritratto di famiglia è quasi completo. Manca l’ultimo tassello, forse il più importante. I telespettatori. Le tante prefiche guardone che sputano sentenze dal salotto di casa. Ah, quanta sacrosanta indignazione! Peccato che durante il melodramma il pubblico di «Chi l’ha visto?» sia più che raddoppiato. Erano talmente occupati a indignarsi che si sono dimenticati di compiere l’unico gesto che potrebbe davvero cambiare questo sistema fondato sul pigro consenso del popolo: spegnere il televisore.
Massimo Gramellini

venerdì 8 ottobre 2010

Fatemi godere, giovani

El pueblo, unido, ... Fate tanto casino, siete i padroni del vostro domani.
Che vi sia chiaro il nemico di tutti, giovani e vecchi: